Questo libro vale una spunta importante sulla mia #readingchallenge perché è (#nientepopodimenoche!) il libro con più di 500 pagine. A guardarlo sugli scaffali del CUB – Castello Ursino Bookshop mi spaventava un po’ con quella mole così imponente da affrontare in una torrida estate, ma poi mi sono decisa e ora posso dire che il libro vanta anche un altro primato: quello di spingermi ad aggiornare la mia Top Ten, perché la lettura si è rivelata a dir poco meravigliosa.
“Scarti” di Jonathan Miles è una collazione di racconti all’inizio slegati fra loro se non dal tema che li accomuna: il consumismo. Una collazione e una collezione di personaggi che affrontano una questione che dovrebbe essere cara a tutta l’umanità dai punti di vista più disparati a partire dal freeganesimo (free= gratis, vegan=vegano), vale a dire quella filosofia di vita secondo la quale si deve vivere di quelli che sono gli “scarti” – appunto – non animali della produzione di industrie, ristoranti e supermercati rovistando giornalmente nei cassonetti dell’immondizia («unica cosa sincera prodotta dalla società») a caccia di ciò che è stato buttato senza che fosse necessario, solo perché la società vuole che sia così. Talmadge e Micah, squatter che abitano abusivamente in un appartamento a Manhattan, hanno una vita serena finché un ex-compagno universitario di lui non sconvolge i loro equilibri.
E’ la storia di questa coppia che apre il romanzo di Jonathan Miles. E al loro racconto si affianca quello di Elwin, un linguista obeso, appena lasciato dalla moglie, che è stato chiamato dal Governo a concepire un messaggio universale (e durevole almeno 10.000 anni) che segnali che in quel punto si trova la più grande (e pericolosa) discarica di scorie radioattive che l’uomo abbia mai realizzato (e che incontriamo subito dopo un incidente automobilistico a seguito del quale ha ucciso un cervo che ha poi deciso di macellare, per non sprecarne la carne). L’uomo deve anche fare i conti con un padre malato di Alzheimer.
E poi ancora c’è la storia di Sara, una vedova (o ex-vedova, visto che si è risposata, come si chiede lei stessa nel corso della storia) dell’11 settembre che ha un deposito dove ha stipato la suda ex-vita: tutti gli oggetti che sono appartenuti a quella Sara che non sapeva del tradimento del marito scoperto per organizzarne la commemorazione poco tempo dopo l’attentato alle Torri Gemelle. C’è un rapporto difficile con la figlia adolescente, ma anche con i propri seni che il nuovo marito ha voluto che si “rifacesse” (e lei li odia). Il nuovo compagno, Dave ha costruito la sua fortuna riscattando debiti scaduti (vale a dire, ormai inesigibili). In lei l’equilibrio è dissolto dalla ricerca di un tostapane perduto all’interno del proprio deposito.
Sono storie separate – tenute insieme all’apparenza, come dicevamo all’inizio, dai concetti di spreco e consumo – ma convergeranno ineluttabilmente e l’epilogo è davvero difficile da dimenticare (come recita la quarta di copertina). Non è un caso che il romanzo sia ambientato a New York, visto che l’autore vuole raccontare tutta l’America, ma attraverso quei segreti che si possono scoprire attraverso i rifiuti che ogni giorno buttiamo via. Una grande metafora del mondo intero che rischia di gettarsi via e la metafora si spinge al punto da capire che nel tanto non-detto c’è anche la paura dell’uomo dell’abbandono, inteso come il diventare scarto egli stesso. I protagonisti, infatti, non sono eroi, ma in qualche modo “scarti”: della società, della moglie, della stessa propria vita. Insomma, il racconto di un pianeta e di una società fatto attraverso ciò che – in ogni senso, economico, morale, filosofico, sentimentale, famigliare… – il mondo stesso ha di sé rigettato. E parentesi dopo parentesi, entriamo sempre più nelle vite di questi personaggi, nelle loro infanzie, nel loro passato, in quello che sono i ricordi delle loro esistenze: oggetti non più utili a definire il loro presente… Insomma, scarti anche questi, che però in qualche modo li hanno resi quello che sono.
Il racconto si basa sui detriti (non solo reali, ma anche metaforici) di queste vite che l’autore racconta con una poesia che è difficile da raccontare. Il romanzo è – non prendetemi per Matta-davvero – visionario e realistico, drammatico e ironico insieme… Voglio dire che alcuni avvenimenti sono davvero surreali (proprio come la scena in cui Elwin macella in cortile il cervo appena investito, aiutato dal figlio di un vicino di casa), ma il realismo della narrazione è salvo sempre pur nella drammaticità assurda che suscita ironia. La struttura narrativa è complessa, la prosa eccelsa, in alcune fasi davvero esilarante sebbene ogni termine spinga il lettore a una profonda riflessione etica. L’obiettivo è quello di scardinare tutte quelle convinzioni sociali in cui è facile ripararsi. La conclusione, come sempre la lascio a voi 🙂
Adesso devo trovare il titolo “Dear American Airlines“, romanzo d’esordio di Miles che ha per protagonista un poeta e un traduttore fallito… Un libro che all’epoca della pubblicazione di “Scarti” non era ancora stato pubblicato in Italia.