Avete mai letto Il dio delle piccole cose? Io sì (e forse a breve ne farò anche un #nostalgicreader)… quindi potrete immaginare il piacere che ho provato quando a distanza di vent’anni dall’uscita di quel romanzo ho trovato in libreria il secondo romanzo di Arundhati Roy, Il ministero della suprema felicità.
Vivevo un momento di vero terrore. Ero in attesa di conoscere il mio destino: avrò il trasferimento con la scuola? Se sì, dove lo avrò? E se no, come farò? Riuscirò ad avere l’assegnazione provvisoria? E se sì, dove capiterò quest’anno? E se no, come farò?
Insomma, un periodo dove le parole “Ministero” e “Provveditorato” mi facevano saltare in aria… Il titolo di questo libro mi ha subito catturata, l’autrice era una garanzia e quindi (zac!) mi sono teletrasportata alla cassa, con libro e bancomat in mano per farmi subito un bel regalo.
In realtà, l’autrice non era sparita dal panorama letterario… Si era però dedicata a libri non-fiction (come La fine delle illusioni, Guerra è pace, Guida all’impero per la gente comune, L’impero e il vuoto, La strana storia dell’assalto al parlamento indiano, Quando arrivano le cavallette, In marcia con i ribelli, I fantasmi del capitale, Cose che si possono e non si possono dire scritto insieme a John Cusak). Solo che io non amo i libri non-fiction e quindi non li avevo letti.
Il ministero della suprema felicità invece è un bellissimo viaggio nell’India (che ora più che mai è un luogo che voglio visitare) che viene raccontata in tutte le sue sfaccettature: dalle metropoli scintillanti ai vicoli stretti e intricati della vecchia Delhi, dalle valli alle cime innevate del Kashmir… Un mondo pieno di conflitti fra modernità e tradizione, villaggi e metropoli, guerra e pace, vittime ed eroi, città e campagna, Islam-Cristianesimo-Induismo, luci e ombre, esoterismo e manifesto, uomini e donne, caste, lacrime e sorrisi, voci sussurrate e grida, forza e fragilità, amicizia e ostilità, misticismo e violenza, brutalità e tenerezza.
C’è un ermafrodita in fuga da questo mondo, un hijra (cioè l’anima di una donna finita in un corpo maschile). Ci sono quattro amici che vengono separati e messi l’uno contro l’altro dalla guerra. C’è un cimitero che diventa un rifugio sicuro per tanti soprattutto per un paria addetto alla rimozione di cadaveri. C’è una bambina che appare all’improvviso su un marciapiede, in una culla di rifiuti. Ci sono tre uomini che hanno amato la stessa donna. C’è un agente segreto di stanza a Kabul. C’è la prima nata a Srinagar e sepolta – asoli quattro anni – nel cimitero dei martiri. C’è il realismo e il dramma creato dalla disuguaglianza sociale, dalle guerre di religione, dalla contrapposizione di ideologie… Ma non c’è disperazione e la lotta di genere per garantirsi la possibilità di essere se stessi vincerà le proprie battaglie. C’è speranza e c’è la forza di non arrendersi mai, neanche davanti alle più grandi difficoltà. La felicità non è impossibile per nessuno.
Carla
(Il ministero della suprema felicità di Arundhati Roy, Guanda, pag. 496, euro 20)