Qualche sera fa al Castello Ursino, si è tenuta una delle serate della 55ª edizione del Premio Campiello. Fra i libri finalisti, tutti disponibili al CUB – Castello Ursino Bookshop, ho deciso di cominciare a leggere L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio. Mi è piaciuta la copertina e quanto scritto sulla quarta: «Ero l’arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza».
Ormai avete capito che non appena sento la parola “mamma” devo leggere il libro che la contiene. Sarà “deformazione professionale”, non so… Ma più leggevo informazioni su questo romanzo e più dovevo leggerlo. Perché il tema della maternità, della responsabilità, della cura può essere affrontato in un milione di modi e qui la prospettiva è davvero originale, perché l’arminuta deve affrontare un doppio abbandono quello della sua mamma naturale (che prima che inizi il libro ha affidato la propria figlia a un cugino del marito e a sua moglie, con l’intenzione di offrirle maggiori opportunità e un futuro migliore di quello che avrebbe potuto conquistare crescendo in una casa piccola e piena di figli) e quello della famiglia che l’ha cresciuta e che all’inizio del libro la restituisce ai legittimi genitori a causa della grave malattia che ha colpito la donna che fino a quel momento è stata “la mamma”.
Il libro si apre con la riconsegna di una bambina a “una sconosciuta” che allatta un fratellino minore che non sapeva di avere; c’è una sorella (Adriana) con cui dividerà il letto e l’umidità della pipì che ancora le scappa e che già pensa a quando i bei vestiti che l’arminuta indossa passeranno a lei, fratelli dappertutto che lottano per il (poco) cibo sul tavolo e fra questi Vincenzo che la guarda già come se fosse una donna. Non ha un nome la protagonista di questo romanzo, che tutti chiamano solo l’arminuta, la ritornata. Questo perché, dopo essere stata affidata alle cure di un cugino del padre e di sua moglie, quando la donna si è gravemente ammalata la bambina è stata riportata a casa, dai suoi genitori che invece avevano sperato di darle un’opportunità e un futuro migliore, e che adesso devono raccoglierla, con tutte le difficoltà del caso. Perché nessuno la rivorrebbe in casa, e l’arminuta si sente scaricata come un pacco, abbandonata come un animale domestico di cui vuoi liberarti, si sente strappata alla sua realtà, al suo mondo, al suo futuro.
La vita che inizia per l’arminuta adesso è tutta diversa da quella che ha avuto fino a quel momento. Non ci sono coccole. Non ci sono bei vestiti. Non ci sono passeggiate in centro. E neanche gelati sul bagnasciuga. Non c’è riposo. Non c’è privacy. Non ci sono agi. Niente. Neanche la lingua che parlano intorno a lei è la sua, perché i suoi “nuovi” fratelli parlano solo dialetto.
Bisogna lottare per conquistarsi il cibo, imparare a difendersi da scherzi (anche crudeli), pensare alle faccende di casa e fare i conti con tutto quello che si è perso: una casa confortevole, una cameretta personale, le amiche più care, l’affetto incondizionato dei genitori (o meglio di quelli che fino a quel momento aveva creduto essere i suoi genitori).
Ma in mezzo a questo grigiore, al dolore dell’abbandono, agli odori nauseabondi, a tutto quello che sembra non appartenerle…In mezzo a tutta questa solitudine, ci sono le lettere inviate di nascosto, i baci rubati, le fughe a mare con l’autobus, la generosità, il diventare grandi, ci sono nuovi incontri e nuove speranze. Avvincente e commovente. Amaro e struggente. Un libro che ti rapisce sin dalla prima pagina e ti trascina in un turbine di emozioni fino all’ultima parola.
Carla
(L’arminuta di Donatella di Pietrantonio, Einaudi, pag. 176, euro 17.50)