Probabilmente adesso non farei più questo genere di lettura, ma all’epoca non ero una lettrice così raffinata da capire la differenza fra un romanzo e una romanzizzazione. Già perché per la prima volta su questo blog, il romanzo di cui sto per parlarvi è tratto da un film di grande successo della metà degli anni 80 che probabilmente in molti ricorderanno: Labyrinth – Dove tutto è possibile. Oggi forse lo avrei capito dalla copertina (ma anche adesso molte nuove edizioni cavalcano l’onda dell’uscita di un film per aumentare le vendite di un titolo…
Ad ogni modo, all’epoca, avevo adorato il film. Internet non esisteva (o se esisteva era dominio di pochi) e l’unico modo per recuperare i numerosi indovinelli di cui è infarcita la storia era quello di recuperare il libro che mia mamma (che fortunata che sono!) aveva ricevuto come copia campione da una casa editrice che pubblicava narrativa scolastica per ragazzi 🙂
Potrete immaginare il mio entusiasmo quando ho riconosciuto i personaggi del film sulla copertina di quel libro. Non poteva non diventare immediatamente mio!
Il libro uscì contemporaneamente al film e attualmente è fuori catalogo, ma noi Matte – se siete interessati – ne abbiamo trovato una trascrizione in lingua originale che se volete potete leggere qui. Pare anche comunque, che a breve, il libro sarà ripubblicato, almeno secondo quanto garantito da Archaia. Io l’ho letto in macchina (quando ancora riuscivo a leggere in auto e mia mamma si domandava come facessi a leggere a gambe all’aria e schiena sulla seduta del sedile), in viaggio verso le Dolomiti. Un libro lungo quanto una traversata dell’Italia intera, dal sud al nord 🙂
La romanzizzazione del romanzo per opera di ACH Smith, ricalca la storia del film di Jim Henson del 1986. Il regista (per capirci) è il creatore di Muppets ma nella lavorazione del romanzo venne supportato dall’autore di libri per ragazzi, il canadese Dennis Lee (credo che in italiano sia stato tradotto esclusivamente “Pasticcio di alligatore e altre poesie“). I protagonisti? David Bowie (che interpretava Jareth, re dei Goblin) e Jennifer Connelly (nei panni della protagonista Sarah).
Sarah ha 15 anni, è figlia di genitori separati. La madre è un’attrice famosa. Il padre si è risposato e Sarah non accetta la nuova compagna del padre (che in realtà non è poi così male, anzi).
Una sera, Sarah, obbligata a fare da babysitter al nuovo fratellino (figlio del padre e della sua matrigna) ed esasperata dai pianti di lui che è spaventato da un temporale, esprime un desiderio: “Spero proprio che gli gnomi ti portino via all’istante”. E così accade. Subito dopo il Re dei Goblin irrompe nella sua stanza con un dono per lei fra le mani: una sfera di cristallo contenente i suoi sogni. Ma Sarah rifiuta e chiede di riavere invece il fratellino e Jareth, offeso, le concede mezza giornata per ritrovare il fratellino prima che questi venga trasformato in uno gnomo.
Sarah si ritrova così catapultata nel mondo del suo libro preferito (The Labyrinth, appunto) e per salvare Toby dovrà raggiungere il centro del labirinto, difficilissimo da superare perché pieno di indovinelli, enigmi, puzzle… tutti da risolvere per poter avanzare.
Sarah ha una guida, lo gnomo Gogol, ma nel corso del suo viaggio fantastico altri personaggi si uniranno alla ragazza: Sir Didymus (uno yorkshire che cavalca un cane da pastore), Bubo (un non meglio descrivibile gigante gentile i più importanti.
Il racconto è colmo di citazioni letterarie, dalla pesca avvelenata che provoca in Sarah potenti allucinazioni (chiara allusione alla mela di Biancaneve) alla brigata stessa che si incammina per il labirinto che molto ricorda Dorothy e i suoi compagni di viaggio ne “Il mago di Oz“… Ma non solo. Il mondo fantastico immaginato dal regista e poi raccontato da Smith è infarcito di ispirazioni dettate dai quadri di M.C. Escher e dalle sue improbabili prospettive che altro non fanno che far perdere sempre di più Sarah dentro quel dedalo che sembra infinito.
La sfera di cristallo è un elemento che mi affascinava in maniera particolare durante la visione del film. David Bowie, le faceva girare come se non avessero peso fra le mani e sulle sue braccia. Ho appreso che in realtà a girare le scene fu il famoso giocoliere Michael Moschen (il primo a utilizzare queste sfere che sembrano di vetro anche se in realtà non lo sono), un vero maestro di questa disciplina di giocoleria che si chiama contact juggling (inutile provarci tanto per… perché non funziona se non vi allenate quotidianamente).
Cercando sul web ho poi scoperto che il film ha avuto ancora altre trasposizioni: è diventato un videogame per Commodore 64, – solo per il Giappone – Nintendo Famicom – e Apple II (mio fratello aveva lo Spectrum e quindi non abbiamo mai potuto giocarci). Ma la storia ha dato vita anche a un sequel a fumetti (usciti nel 2006) con protagonista Toby.
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