Godiamoci ancora i regali che abbiamo ricevuto per il Phd appena conseguito. E fra i tanti libri avuti in dono (i miei genitori e i miei fratelli sanno come viziarmi) un titolo in particolare risulta particolarmente azzeccato: La cosa più vicina alla vita. Lezioni sul nostro amore per i libri di James Wood che viene presentato come la fusione perfetta di critica letteraria e autobiografia, come una lezione magistrale sui legami che intercorrono tra vita e libri. Un racconto personale che incarna la feconda cospirazione tra lettore e scrittore (ma anche – ça va sans dire – e critico) che spinge a riconsiderare tutte quelle componenti che entrano in gioco quando si legge un romanzo.
Immaginerete il piacere con cui mi sono immersa in questo “libro al quadrato” per scoprire cosa l’autore, fra i più importanti critici letterari del nostro tempo, abbia detto della narrativa. Wood sostiene che di tutte le arti, solo la narrativa è capace di salvare la trama della nostra vita dalla morte e dall’oblio. La lettura, in questo modo, diventa un’attività densa di significati perché a doppio filo è il legame fra realtà è letteratura.
Il lavoro di Wood è un po’ quello che Italo Calvino chiese di fare quando chiamò all’appello numerosi autori italiani affinché compilassero un’antologia personale, non nel senso borgesiano di auto-antologia, nella quale far rientrare le letture ritenute fondamentali e, conseguentemente da consigliare a chiunque voglia costruire la propria biblioteca personale (un esperimento al quale rispose soltanto Primo Levi). Così Wood ripercorre la sua formazione di ragazzo inglese di provincia attraverso le gioie delle letture di infanzia e intreccia i propri ricordi con la letteratura, donando così ai sentimenti personali un valore universale. Un saggio, quindi, che associa l’analisi letteraria alla contemplazione e alla rilettura dei propri ricordi, perché lo scorrere degli eventi non permette di afferrare davvero il significato del loro svolgersi, ma la retrospettiva permette di creare collegamenti e di scoprirne di inattesi.
Wood confessa di amare senza riserve il romanzo, la cosa più vicina alla vita (appunto) e anche (anzi, soprattutto) l’unico mezzo per osservare una vita intera, ma soprattutto il luogo dov’è possibile fermare cose che altrimenti rischierebbero di essere perdute e che, invece, non si vorrebbero perdere. Insomma, leggere, garantisce la possibilità di scongiurare la morte e l’oblio, di sconfiggere la morte e l’oblio perché un romanzo e anche la storia che in esso è contenuta non possono morire, non possono scomparire e ogni volta che viene letta acquista un significato diverso, perché una storia è sempre diversa se raccontata da più soggetti.
Carla
(La cosa più vicina alla vita di James Wood, Mondadori, pag. 117, euro 20)