Sono sempre stata una bambina piuttosto assennata. E non ho mai perso la mia bambola preferita. Non ho mai sofferto questa sorta di “distacco con responsabilità” che vive Elsi, ragazzina protagonista insieme allo scrittore Franz Kafka, del romanzo di cui parliamo oggi: “Kafka e la bambola viaggiatrice” di Jordi Sierra i Fabra. Non ho mai vissuto questo dolore, ma se mi fosse capitato di perdere la mia amica del cuore, la mia confidente segreta e silenziosa, mi sarebbe piaciuto che qualcuno inventasse per me la stessa strategia anti-sofferenza ideata da Kafka per questa bimbetta, pur di vederla smettere di piangere, pur di non sentire quei singhiozzi.
Lo spunto da cui prende inizio il racconto di Jordi Sierra i Fabra parte da un episodio realmente accaduto. Solo che non si è mai saputo il nome della bimba cui Kafka scrisse per tre settimane lunghe lettere che portavano la firma della mano della bambola Brigida (ma anche questo è un nome di fantasia) e non si è mai conosciuto con esattezza il contenuto di queste lettere, mai ritrovate e mai lette da nessun altro (a parte la bimba destinataria che Klaus Wagenbach, uno studioso di Kafka, ha cercato a lungo nei dintorni della casa dello scrittore).
Per motivare l’improvvisa sparizione di Brigida, Kafka racconta a Elsi che la bambola ha deciso di partire per un viaggio, di emanciparsi. Diviso fra la difficoltà che incontra nel trovare le parole giuste per spiegare a Elsi cosa stia accadendo e perché la bambola l’abbia “abbandonata”, e il desiderio di colmare il vuoto lasciato da questa perdita, Kafka si siede alla scrivania e comincia a scrivere le avventure di Brigida, la bambola giramondo: Londra, Parigi, Vienna… Il tutto con la difficoltà aggiuntiva di confrontarsi con le domande (banali, ma che non per questo hanno una facile risposta) che la bambina gli pone: “Perché ha scritto a te?”, “Perché io sono il postino delle bambole“. Assumendo il ruolo non solo del portalettere, ma anche del lettore ad alta voce che si dedica a una bambina che a mala pena sa leggere.
La sua scrittura è piena di serietà e dedizione perché Kafka avverte un profondo senso di responsabilità nei confronti di una piccola creatura spaventata. Tre settimane di avventure divertenti, dolci e romantiche con lo sviluppo di una tenera consapevolezza (sia in Elsi, sia nello scrittore) che il lieto fine esiste, anche se per arrivarci si deve superare il baratro del dolore e dell’abbandono, anche se si sono dovute affrontare strabilianti peripezie.
Un romanzo breve (o un racconto lungo, fate voi) dai toni lievi e poetici. E anche se Jordi Sierra i Fabra si è concesso la licenza di “inventare” il contenuto di tutte quelle lettere (consegnando anche un finale immaginario a questa favola) si tratta anche di “un’opera esclusiva” di Kafka, scritta per un’unica persona: una bambina.
(“Kafka e la bambola viaggiatrice” di Jordi Sierra i Fabra, Salani editore)
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