Nel martedì dei Matti per le Matte torna Manuel Cutaia. Vi ricordiamo che per inviarci i vostri contribuiti potete scrivere a mattedaleggere@gmail.com. Siamo sempre ben contente di leggere quello che vi hanno suscitato i libri che avete incontrato nella vostra vita e che per voi hanno avuto un significato particolare.
Leggere dei testi universitari è sempre una gran pizza, spesso per i contenuti, noiosi e complessi, ma soprattutto per l’approccio psicologico che abbiamo nei loro confronti: partiamo infatti spesso dal presupposto che non può piacere un libro utilizzato per un esame, non può essere accattivante un libro imposto da un professore. Questo testo, Homo Cyborg di Naief Yehya (Elèuthera) ci è stato “imposto” dal professore di sociologia della cultura al primo anno di università, quell’anno in cui ancora tutti i professori vestono per noi quell’alone di superiorità e di distacco condito dalla gran fifa che mettono. Potete a questo punto anche solo immaginare con che pregiudizio ho cominciato a sfogliare quel libro. Mi sono dovuto ricredere, esistono delle eccezioni. Quel libro era stupendo ai miei occhi, il primo libro accademico veramente godibile, 160 pagine davvero interessanti e soprattutto utili per capire certi meccanismi della vita e della società del presente.
Naief Yehya è nato in Messico nel 1963. Di origini sirolibanesi si trasferì negli Usa dove iniziò la sua carriera di scrittore. Con Homo Cyborg affronta diversi temi di ricerca della sociologia culturale, la scienza, la religione, la politica, l’economia, la sessualità e la tecnologia. È con l’intersecarsi di pancapitalismo (la sottomissione del proprio corpo di tutti i gruppi sociali per far funzionare gli imperativi capitalistici di produzione, consumo e ordine) e postumanesimo (l’idea di una natura non più immutabile dell’uomo, un essere che può essere modificato, soggetto ad essere superato da se stesso) che Yehya analizza il corpo con spirito wittgesteiniano, un corpo che la scienza è riuscita a sezionare dal punto di vista anatomico ma che non ha per questo risolto i veri enigmi della vita, perché il corpo è la chiave per decifrare l’enigma dell’essere, generatore di insofferenza nell’uomo per le sue limitazioni. In passato per superare le limitazioni biologiche e fisiche ci si incarnava con l’occulto, nel sacerdote, nello stregone o nell’alchimista. Oggi la ricerca per superare i limiti è affidata agli scienziati, che faranno diventare gli esseri umani degli abili trasformer, dei cyborg, non dei robot o androidi (spesso si fa confusione ma non sono la stessa cosa, posseggono diversa essenza), ma un ibrido tra organico, mitologico e tecnologico. I soldati sono il primo esempio di corpo migliorato ai servizi di una multinazionale.
Yehya disincanta le speranze di una vita eterna nei cieli, demolendo il creazionismo, malgrado ancora in molti viva l’illusione di un ordine divino creato da un essere superiore, il che lo vede come un paradosso data l’enorme mole di informazioni della nostra società. Ci racconta dei paradossi della concezione corporea dei religiosi, la lotta contro l’aborto, gli anticoncezionali, non condannando l’uso di fertilizzati che hanno trasformato la mamma Bobbi in una superincubatrice, procreando ben 7 gemelli. L’insicurezza maschile nei confronti della donna, il conflitto tra i sessi, l’insoddisfazione saranno altri motivi che spingeranno l’uomo verso l’ibridazione.
Questa corsa al miglioramento sarà la causa della futura insanabile frattura tra poveri e ricchi. I ricchi riusciranno finalmente a differenziarsi, ad essere quello che hanno sempre sognato di essere, una specie diversa. Siamo certi che ciò che dice è solo una visione utopistica e catastrofica? Guardiamoci allo specchio, portiamo occhiali per correggere le diottrie, sempre se non abbiamo già usufruito del laser, abbiamo subito interventi, abbiamo conosciuto gente con protesi di vario tipo, ci siamo vaccinati, viviamo incollati ad apparecchiature informatiche, usiamo antibiotici, contraccettivi, ci salviamo tramite trapianti. Siamo già dei Cyborg.
Manuel Cutaia