Nel martedì dei Matti per le Matte tocca di nuovo a Giuliana Furnò. Ci racconta di un libro che entrambe abbiamo letto, ma del quale non abbiamo mai parlato. Vi ricordiamo che per raccontarci le vostre impressioni su un libro letto è sufficiente inviare una richiesta all’indirizzo mattedaleggere@gmail.com
Sono lieta di raccontarvi di uno di quei libri, tra tanti letti, che più mi ha affascinata. Non avevo letto alcun romanzo di Niccolò Ammaniti in precedenza e devo dire di aver apprezzato moltissimo la sua grande capacità di fare affezionare il lettore ai personaggi del libro, nonostante questi non rappresentino delle figure positive e appaiano molto distanti dalle persone comuni.
Siamo in un immaginario paesino del settentrione, molto simile a gran parte dei paesi dell’Italia di oggi che a capannoni e centri commerciali alternano distese di boschi e di campi.
I protagonisti sono un padre, (Rino, un trentaseienne con simpatie neonaziste) ed un figlio (il tredicenne Cristiano, un ragazzo docile e sensibile). Entrambi sono stati abbandonati dall’unica figura femminile presente nelle loro vite, la moglie di Rino, nonché madre di Cristiano, che ha deciso di lasciare la famiglia poco dopo la sua nascita.
Rino è un violento, si dà all’alcol e vive in condizioni piuttosto biasimabili. Con Cristiano però ha un legame fortissimo, quasi viscerale. Assillato da un’assistente sociale a causa delle condizioni non esattamente agevoli e rispettabili in cui Rino fa vivere il figlio, la sua più grande paura è proprio quella di perdere Cristiano.
A dispetto di quanto si potrebbe pensare però, anche Cristiano ama moltissimo suo padre, che per lui è molto più di un punto di riferimento, è la sua forza, il suo modello da seguire, tutto quello che non è e che spesso desidererebbe tanto essere. Riesce ad accettare i difetti come nessuno anche se a volte è forte il disprezzo che prova verso suo padre. I due passano praticamente tutti i giorni insieme e gli unici amici che a volte colmano i vuoti di un’esistenza cupa e solitaria sono Danilo Aprea e Corrado Rumitz, detto “quattro formaggi”, per la sua smodata passione per questo tipo di pizza.
“Quattro formaggi” è un ragazzo con uno squilibrio mentale. Sarà proprio lui a scombinare le carte in tavola, a mettere in discussione il rapporto tra Rino e Cristiano e a compiere un’azione inimmaginabile e inaspettata che per il lettore è difficile da credere, oltre che dura da digerire.
Con questo romanzo Niccolò Ammaniti mostra senza troppi fronzoli e giri di parole un vero e proprio spaccato dell’Italia odierna. Un Bel Paese fatto di contraddizioni e ipocrisie che di bello ha ormai ben poco, in cui l’ignoranza si accompagna alla violenza, in cui i più deboli cercano la loro rivalsa sopraffacendo chi è più debole di loro.
“Come Dio comanda” racconta di un ragazzo e di un padre che vivono ai margini della società, dimenticati da tutti e circondati da persone emarginate come loro. Il rapporto che li unisce ha poco o nulla di ordinario. L’educazione che Rino impartisce a Cristiano è basata sulla violenza e sulla sopraffazione dell’altro
Gli altri personaggi sono Corrado “Quattro Formaggi” e Danilo. Il primo è stato preso in pieno da un fulmine che gli ha danneggiato il cervello e fa incetta di oggetti e arnesi che recupera dalla spazzatura. Il secondo è stato profondamente segnato dalla morte di sua figlia e dall’abbandono di sua moglie.
“Come Dio comanda” ci conduce in un mondo di persone che hanno perso la speranza da tempo e che vivono secondo regole che si sono dettate da sole. Ad accomunarle è l’odio verso gli altri (in particolare verso gli extracomunitari, visti come la causa delle proprie disgrazie) e la paura di vivere una vita che troppe volte li ha traditi.
In una notte di forte tempesta questi personaggi pagheranno a caro prezzo un’esistenza vissuta ai limiti dell’accettabile in cui ad andarci di mezzo (come spesso accade) sarà chi è esente di colpe.
Un’ultima, ma non meno importante, precisazione scaturisce da una domanda che mi sono posta prima di iniziare la lettura e a cui ho dato risposta solo dopo averla conclusa: perché questo titolo?
Su tutto il racconto si percepisce una specie di assenza-presenza da cui sembrano dipendere tutti i fatti che accadono, un Dio che sembra decidere ogni cosa e a cui i personaggi sembrano voler attribuire la colpa o il merito dei fatti che accadono loro, come a voler dire che di questa vita in fondo non siamo noi i padroni…
(Come Dio comanda/ Niccolò Ammaniti/ Mondadori/ pp. 495/ € 19,00)
Giuliana Furnò