Oggi è martedì e, dunque, è il turno di uno dei nostri ospiti. Stavolta, nella rubrica “Matti per le Matte”, arriva (non solo un lettore, ma anche) uno scrittore sopraffino: Alfio Caruso. Alfio ha cominciato la sua carriera come giornalista, ma ha da subito affiancato a questa una “vita parallela”, scrivendo romanzi thriller e saggi sulla storia italiana e sulla mafia. Oggi ci parla di un libro che racconta il dietro le quinte della vita di uno fra gli attori italiani più amati e apprezzati… Non vi diciamo di più, perché vogliamo lasciarvi alla sua penna. Grazie ad Alfio per aver voluto essere uno dei nostri Matti per le Matte… E a voi, Buona Lettura!
La sua angoscia è il rapporto con il tempo, le sue passioni assolute sono l’elettronica, la fotografia, il lavoro manuale, il quale spesso s’intreccia con le altre due inducendolo a smontare macchine, congegni, utensili, giocattoli oppure a costruire il grillo-carillon fondamentale per il secondo film, in cui era impegnato (Libido di Vittorio Salerno, oltre cinquant’anni addietro: Rambaldi, il papà di E.T., aveva chiesto 100 mila lire, la produzione non li aveva). Nelle pause di queste tre passioni ha giocato a fare l’attore, mai considerato un mestiere, benché affrontato con la totalità dell’impegno e della dedizione. D’altronde gliel’avevano spiegato sia Mastroianni, sia Brando: basta non leggere il copione e ricordarsi che è soltanto un divertissement.
L’autobiografia di Giancarlo Giannini (Sono ancora un bambino, ma nessuno può sgridarmi, Editore Longanesi, 285 pagine, euro 16,40) è per l’autore la penitenza, che un carattere schivo, solitario, meditabondo si è voluto infliggere per la gioia di quanti la leggeranno. E’ profondamente diversa da quelle di Gassman, di Albertazzi, di Bene; è molto orientata sull’intimo, a cominciare dalla dedica alla mamma centenaria e a Lorenzo il figlio stroncato a vent’anni dall’aneurisma. Tuttavia una carriera di oltre mezzo secolo fa sì che sia un pozzo inesauribile di aneddoti, dove i protagonisti si possono chiamare Fellini e Visconti, Coppola e Wilder, Nicholson e Brando, Pacino e Hopkins, Mastroianni e Gassman, Vitti e Magnani, Melato e Antonelli, Fassbinder e Lattuada, Sastri e Lizzani. Ed esiste anche la spiegazione pratica del perché Giannini sia dovuto diventare il più bravo attore italiano, l’unico a possedere una caratura internazionale: «La gavetta l’ho fatta tutta sul campo. Avevo davanti Mitchum, Zeffirelli, Monicelli, Dino De Laurentiis, Gassman, Hopkins, Mastroianni, Ridley Scott, la Wertmuller, Coppola, Antonioni, Visconti. Ho dovuto per forza essere bravo, uno bravo tra i bravi. Altrimenti sarei stato fatto fuori. Con loro di fianco avrei anche fatto gavetta tutta la vita. Non è che m’importi più di tanto fare l’attore. Perché quando penso a queste persone enormi, che hanno fatto il cinema, con cui ho dovuto rapportarmi, mi sento già appagato».
E se Ejzenstejn, Kubrick e Fellini vengono giudicati i più grandi fra i registi, a Mastroianni, Gassman e Monicelli sono dedicate le annotazioni più tenere. In quasi trecento pagine Giannini ha un ricordo felice per tutti, ignora lo stuolo di donne, che hanno perso la testa per lui, riesce a evitare anche il pettegolezzo più minimo. Si rammarica soltanto di non esser riuscito a mettere d’accordo Gassman e Franco Brusati, il regista, durante la lavorazione de Lo zio indegno (e aveva ragione Gassman di avercela con uno che disprezzava Il sorpasso) o tra Valerio Zurlini e Alain Delon al tempo de La prima notte di quiete. Una questione di pelle gli avrebbe detto Delon quarant’anni dopo.
Giannini ha smesso di fare il pittore alla Van Gogh dopo i complimenti sperticati di Mario Soldati a suggello di una riuscita mostra milanese e ha smesso di esibirsi in teatro dopo le critiche negative all’interpretazione di Sisto V ne L’avventura di un povero cristiano. Non ha smesso invece di doppiare quelli che lui definisce i giganti americani, da Pacino a Nicholson, da Hoffman a Douglas, e il successo lo spiega con lo strettissimo rapporto, che intrattiene con il microfono, da lui smontato e studiato agli inizi della carriera. L’esperienza più divertente? Aver doppiato Harvey Keitel nel film Vipera, del quale entrambi erano protagonisti, senza che qualcuno si accorgesse che nei duetti fra loro le voci provenivano dalla medesima fonte. Non ha neppure smesso di cucinare la pasta con il pesto, anzi si definisce «The king of pesto»: ne spiega dettagliatamente la preparazione e per essere sicuro di lasciare un’impronta chiude il libro con la ricetta e con la calda raccomandazione di lasciar dormire il pesto per una notte, coperto da un soffice panno, sotto un dito di olio d’oliva extravergine.
(Sono ancora un bambino, ma nessuno può sgridarmi, Giancarlo Giannini, Editore Longanesi, 285 pagine, euro 16,40)