Di tanto in tanto mi capita. Non sono una che rilegge spesso, ma ci sono alcuni titoli della mia biblioteca personale che di tanto in tanto tornano sul mio comodino… E sempre con mia somma soddisfazione. Sono un po’ dei libri rifugio, in cui torno a cercare eventi e situazioni che in qualche modo mi aiutano a mettere ordine nella mia vita.
“Il giovane Holden” è un po’ così. Mia mamma mi suggerì di leggerlo quando avevo la stessa età, la stessa voglia di rivalsa, la stessa rabbia incontenibile nei confronti del mondo, lo stesso desiderio di ribellione del protagonista Holden Caulfield. Mia mamma sosteneva non solo che l’avrei amato con tutta me stessa, ma anche che mi sarei identificata molto con Holden e che – magari – leggerlo mi avrebbe aiutata a capire di più anche il mondo degli adulti. Io ero un po’ perplessa: cosa avrei potuto trovare in un romanzo, pubblicato nel 1951 e facente riferimento alle settimane immediatamente precedenti al Natale del 1947? Ma già dopo poche pagine avevo dovuto ricredermi, perché l’attualità della storia è incredibile…
Holden ha 16 anni ed è figlio di una benestante famiglia newyorchese. E la narrazione si apre con il racconto di Holden della morte per leucemia del fratello Allie di pochi anni più piccolo di lui. Holden è un ragazzo sensibile ed è dotato di un grande senso critico. Studia al Pencey college (una nota autobiografica, ricordo dei college militari frequentati dall’autore), ma la sua situazione scolastica è davvero disastrosa: è già stato obbligato a cambiare quattro scuole, ma anche adesso il suo rendimento è talmente pessimo che presto sarà espulso anche da questa. Holden non ha il coraggio di parlarne con i suoi genitori e decide di scappare alla volta di New York… E qui comincia l’avventura di un fine settimana. Holden vorrebbe lasciare tutto, ma si rifugia dalla sorellina – la “saggia Phoebe” – senza farsi scoprire dai genitori. Phoebe, che per Holden è molto più che un semplice punto di riferimento (è una confidente, un’amica, un’adulta alla quale rivolgersi senza vergogna…) capisce che il fratello è davvero nei guai e farebbe di tutto per aiutarlo, compreso l’essere pronta a partire con lui. Ma questo per Holden è troppo: profondamente turbato abbandona i suoi propositi e…
Una curiosità: il titolo originale “The catcher in the rye”, nasce da una storpiatura – di un verso di una poesia attribuita a Robert Burns “Comin’ Through the Rye” – che il protagonista compie in uno dei passaggi più importanti del romanzo, quando pungolato dalla saggia Phoebe su quali siano i suoi desideri, i suoi sogni, su cosa voglia fare da grande risponde, ispirandosi al poema di Burns, “colui che salva i bambini, afferrandoli un attimo prima che cadano nel burrone, mentre giocano in un campo di segale”. L’immagine che ne emerge è un po’ bizzarra, ma mentre in alcune lingue si è stati in grado di trovare traduzione che mantenesse il senso della titolo originale, la resa in italiano sarebbe stata davvero pessima (Qualcosa tipo “l’acchiappatore nella segale” o, peggio ancora, “il prenditore nel whiskey”). Alla fine il traduttore optò per il titolo “Vita da Uomo” che poi venne sostituito ne “Il giovane Holden”.
Tutto questo mi ha fatto venir voglia di raccontarvi un libro che parla proprio di traduttori… Al prossimo post!
(“Il giovane Holden” di Jerome David Salinger, Einaudi)
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